Porto di Baltimora, il fermo costringe la Supply Chain a riorganizzarsi

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Il Seagirt Terminal del porto di Baltimora - By Fatlouie, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3798764

Il crollo del Francis Scott Key Bridge di Baltimora mette ko il nono scalo U.S.A. per traffico merci internazionale, il primo per carichi roll-on/roll-off legati all’industria dell’auto

Il 26 marzo 2024, una nave cargo portacontainer diretta a Colombo, Sri Lanka, ha perso governabilità ed ha centrato uno dei piloni del Francis Scott Key Bridge di Baltimora provocandone il collasso. 

La prima, evidente, conseguenza è il fermo delle operazioni nel porto di Baltimora, uno dei primi dieci porti degli Stati Uniti, che recita un ruolo di prim’ordine per l’industria automotive.

Da Baltimora transitano infatti le vetture in consegna dal Giappone agli States, ma anche quelle prodotte sul suolo americano pronte per i mercati internazionali, oltre a diverse componenti, come i telai mandati a terzi per l’assemblaggio.

Oltre al tragico bilancio delle vittime perite nel crollo, va ora affrontata l’ulteriore catena di disagi che coinvolge nuovamente le rotte marittime e le reti di distribuzione via terra, sia ferroviarie, sia su gomma.

Il porto di Baltimora

Baltimora è il nono porto più trafficato degli Stati Uniti in quanto a carichi internazionali, ma è il primo per imbarchi e sbarchi “roll on, roll off”, cui si associano normalmente i traghetti. 

Nel caso di Baltimora non si tratta tanto di trasporti passeggeri, quanto di merci su ruote, composte in gran parte da automobili, ma anche da attrezzature per l’edilizia e l’agricoltura. 

Nel 2023 il porto ha gestito 847.158 automobili, delle quali circa il 70% in importazione. 

L’elenco delle compagnie di navigazione oceanica e di crociere che lavorano stabilmente con questo scalo supera la cinquantina, e sono oltre 1.800 gli attracchi annui effettuati dalle navi cargo.

L’impatto sulle industrie globali

Il fermo delle attività portuali a Baltimora coinvolge molte di quelle industrie che si possono definire ‘globali’ per via del loro raggio d’azione. 

Nel corso dell’anno passato il porto ha gestito quasi 850.000 unità tra auto e camion leggeri di aziende come General Motors, Ford, Nissan, Toyota, Volkswagen e Honda. 

Altri Marchi automotive coinvolti sono Stellantis, Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW. 

Inoltre, il porto di Baltimora è un hub internazionale per diverse materie prime grezze, come legno, acciaio e alluminio, che gestisce in grande quantità, oltre che di prodotti finiti come elettrodomestici e mobili. 

Tra le altre merci che hanno un peso anche su catene di distribuzione internazionali vi sono lo zucchero, nel campo alimentare, e il gas naturale liquefatto, in quello energetico.

Ripercussioni e soluzioni

Il crollo del ponte ha subito causato ripercussioni significative sui collegamenti ferroviari in loco, con gli operatori su rotaia CSX e Norfolk Southern tra i più coinvolti. 

Dal punto di vista del traffico marittimo, è scattata una riorganizzazione delle possibili rotte di attracco per le navi cargo dirette usualmente a Baltimora: altri porti della costa orientale, come New York, New Jersey e Virginia, hanno dato disponibilità ad assorbire almeno parte dei traffici. 

Lo scalo di New York/New Jersey in particolare è attrezzato per offrire servizi roll-on e roll-off e si considera uno dei “principali gateway per il trasbordo di auto e RORO in Nord America”, secondo la stessa autorità portuale che lo gestisce. 

Il porto di Virginia ha invece un impianto dedicato al carico roll-on e roll-off a Newport News.

La risposta dell’Automotive

Facendo un piccolo approfondimento, la principale industria interessata dallo stop forzato di Baltimora è quella dei produttori di automobili, che da subito hanno reagito in modo proattivo alla situazione.

Mercedes-Benz USA ha dichiarato che Baltimora è uno dei suoi quattro centri di distribuzione negli Stati Uniti, ma che gli ordini in ingresso saranno gestiti da altri porti come quello di Brunswick (Georgia), in modo da alleviare le pressioni sull’importazione.

Volkswagen Group of America ha invece dichiarato di non prevedere un forte impatto sulle sue operazioni navali, poiché la sua struttura si trova sul lato marittimo del ponte, quindi è stata risparmiata dall’effetto diga dovuto al crollo. Tuttavia potrebbe subire ritardi nelle spedizioni e consegne via terra per via delle deviazioni al traffico nella zona.

Volvo Group, ha dichiarato di non prevedere un impatto significativo, ma sta controllando i suoi stabilimenti di produzione negli Stati Uniti.

General Motors e Ford sono tra le più colpite: entrambe le aziende statunitensi hanno dichiarato che stanno valutando la situazione e che, probabilmente, dovranno deviare le operazioni di smistamento dei veicoli. Si dicono però ottimiste e non prevedono interruzioni significative della loro supply chain.

Toyota, Nissan e Mitsubishi: il terzetto di aziende giapponesi ha dichiarato di stare stimando l’impatto del fermo dell’hub di Baltimora e che, con ogni probabilità, dovranno deviare le operazioni, ma senza prevedono interruzioni significative.

In generale, tutte le aziende automobilistiche stanno rivedendo le proprie operazioni, ma nessuna prevede, almeno apertamente, una grande interruzione delle forniture dopo il crollo del ponte a Baltimora. Molte di queste aziende hanno già reindirizzato le spedizioni nelle ore immediatamente successive al crollo del ponte.

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