Commodity Supercycle: le materie prime costano sempre più care

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Il continuo rialzo del prezzo delle materie prime impatta sulla disponibilità delle stesse, con ricadute sulla logistica

Anche sui quotidiani iniziano a comparire titoli sul possibile “Superciclo” che starebbe portando l’economia globale a strozzare una parte di sé stessa giocando al rialzo dei prezzi di materie prime come metalli rari, legname, metalli ferrosi, prodotti agricoli, mangimi.

Una sorta di rincaro generale di tutto quanto costituisce sia la produzione di beni materiali che di quegli articoli che alimentano la parte più immateriale del nostro consumismo.

L’emergere del problema non è solo questione da addetti ai lavori, se, come pare evidente, il processo non è poi così transitorio e dunque le ricadute su industrie, consumatori e, nel nostro caso, logistica saranno tangibili a breve.

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Superciclo sì o superciclo no?

Il punto di fondo è questo: dopo un precipitare quasi verticale dei prezzi di alcune materie prime – come il petrolio – durante il primissimo duro attacco della pandemia di Covid-19, pressoché tutti i settori hanno registrato una repentina ripresa, sforata poi in una vera e propria corsa impazzita al rialzo.

Da maggio 2020 a maggio 2021 la crescita dell’indice Dow Jones Commodity, che registra proprio questi andamenti, è stata addirittura del 78%, lasciando presagire che ci si possa trovare di fronte ad una tendenza in grado di mantenersi al di sopra della media storica ben oltre la durata di una semplice ‘reazione’.

Nel 2011 era successo lo stesso a causa dell’espansionismo economico cinese, ora le condizioni al contorno sono assai più complesse e contraddittorie da leggere.

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Le materie prime più care

Nella lista delle materie prima che stanno mantenendo prezzi ‘sproporzionati’ c’è di tutto, dai metalli ai mangimi per animali.

Tanto per toccare un paio di esempi concreti, i mondi della zootecnia e del food & beverage sono in allarme perché sia il frumento (grano e soia, rispettivamente ‘cresciuti’ del +12% e del +15% rispetto al pre-pandemia), che i prodotti per animali da allevamento (+7,5%) costano più cari.

Troppo cari – in Italia il grano ha avuto dall’estate scorsa un rincaro del 40% – perché i prezzi al consumatore di molti prodotti di smercio comune non ne risentano, primo fra tutti la pasta.

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Ripercussioni anche nell’hi-tech

Per hi-tech, qui, intendiamo tutto quanto oggi si definisca ‘smart’, ossia contenga un microchip. Di fatto, rame, nickel, litio, palladio, minerali ferrosi, alluminio, ossia tutto quanto serva per l’industria dell’hardware e della mobilità sostenibile – si pensi ai motori elettrici – costa di più.

Non è casuale che l’industria dell’auto abbia già stimato enormi riduzioni nella produzione, ma che anche Apple e Samsung preventivino di ridimensionare i numeri dei prodotti da immettere sul mercato nel prossimo futuro.

Volendo fare un’associazione mentale spicciola, meno prodotti, meno distribuzione, per altro in comparti dimensionati per lavorare con volumi giganteschi, come l’automotive o l’hi-tech in senso stretto.

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Cause? Pandemia ma non solo

Come spesso accade, l’evento più evidente è stato solo l’accelerante di un fenomeno in atto. La pandemia ha innescato una reazione a catena che dormiva sotto le ceneri delle politiche economiche dell’amministrazione Trump, soppiantata da una strategia della Fed e della Casa Bianca pro-prezzi alti perché coerente con la forte iniezione da 6mila miliardi di dollari dato dal bilancio dell’Amministrazione Biden.

Per i metalli – rari o meno che siano – ci sono varie cause, compreso il cambio di passo tardivo nei confronti del cambiamento climatico, che chiude impianti inquinanti e provoca, nell’immediato, una minor immissione di metalli lavorati nel mercato globale.

Allo stesso tempo la richiesta di prodotti che tali metalli li impiegano cresce a dismisura, vuoi la digitalizzazione imposta dalla pandemia, vuoi la moda, vuoi il bisogno indotto.

Poi c’è la Cina, che per non farsi mancare a sua volta materie prime, ne ha immagazzinate in quantità, sia alimentari che non, specie se si parla di acciaio.

Infine, gli effetti della pandemia, che ha provocato un enorme collo di bottiglia che continua a farsi sentire, con una riduzione della capacità di trasporto e di consegna in tempi competitivi delle merci.

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