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Supply Chain dell’auto: regge dopo Baltimora, ma porti europei usati come parcheggi

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Il crollo del ponte di Baltimora starebbe impattando in modo meno distruttivo del previsto sulla Supply Chain dell’auto, ma nei porti del Nord Europa la situazione non è fluida

Il crollo del ponte Francis Scott Key a Baltimora ha scosso non solo l’opinione pubblica, ma anche l’industria dello Shipping e quella automobilistica, ovvero la più interessata dal fermo, anche parziale, dello scalo portuale di Baltimora.

Le implicazioni più significative riguardano le case automobilistiche europee, che, ognuna in zone diverse dello scalo, hanno i propri terminal per lo sbarco delle vetture in consegna. 

Il Francis Scott Key faceva parte dell’autostrada I-695, che collega le zone est di Baltimora alla Contea di Anne Arundel: il suo crollo ha provocato un’interruzione massiccia dei flussi logistici, in particolare per le importazioni ed esportazioni di veicoli e componentistica ad essi legata. Se, però, l’industria dell’auto pare assorbire il colpo in modo relativamente buono, ci sono alcuni effetti collaterali che vanno ad impattare sia sui clienti, sia su strutture portuali molto lontane da Baltimora e dagli Stati Uniti.

Il Porto di Baltimora, fulcro dell’industria automobilistica

Per inquadrare il problema vale la pena ribadire che il Porto di Baltimora è il nono porto più grande degli Stati Uniti, e che si tratta del principale scalo per la gestione dei traffici di veicoli nuovi in ingresso ed uscita dal marcato nordamericano. 

Nel 2023 ha gestito 847.158 mezzi su gomma, secondo l’Autorità Portuale del Maryland. Circa il 70% di questi veicoli erano importati, con oltre un terzo proveniente da produttori tedeschi e britannici. 

Tra le case automobilistiche interessate si trovano nomi come Audi, Bentley, BMW, Ford, General Motors, Jaguar-Land Rover, Lamborghini, Mazda, Mercedes-Benz, Mitsubishi, Nissan, Subaru, Stellantis, Toyota, Volkswagen e Volvo. I lavori di soccorso nel porto continuano, mentre la tempistica per il ripristino del ponte rimane incerta.

La reazione delle Case automobilistiche

Il crollo del ponte Francis Scott Key a Baltimora avrà solo un impatto limitato sulle operazioni e sui risultati finanziari delle case automobilistiche europee, secondo Fitch Ratings. Le major delle quattro ruote stanno cercando percorsi alternativi e dovrebbero essere in grado di evitare aumenti dei significativi dei prezzi per veicoli: di fatto, la strategia principale è spostare i flussi di merci verso porti alternativi, come Miami, Savannah e Newark. 

Andando più nello specifico, Mercedes, tra le case automobilistiche tedesche, risulta essere la più colpita dal crollo del ponte, poiché Baltimora recita il ruolo di centro di distribuzione per le sue operazioni negli Stati Uniti. L’azienda sta deviando le sue spedizioni verso altri porti, ad esempio quello di Brunswick in Georgia – noto come il secondo porto automobilistico più grande degli Stati Uniti. 

A contrario VW e BMW continuano a utilizzare il loro terminal presso il porto di Baltimora, poiché, trovandosi a est del ponte crollato, non è stato coinvolto dalla tragedia: si tratta di un terminal in grado di elaborare fino a 200.000 unità all’anno per i due marchi combinati. 

Tesla, dal canto suo, non aveva lanciato nuovi modelli in Europa, così la Gigafactory di Shanghai può sopportare da sola le esportazioni delle Model 3.

Gli analisti del settore Automotive credono che la situazione non invertirà la tendenza al rialzo dei prezzi nel mercato automobilistico, mentre le implicazioni operative e finanziarie per le case automobilistiche europee dovrebbero rimanere limitate. 

La convinzione deriva dal fatto che i costi logistici rappresentano di norma solo una percentuale a cifra singola del prezzo finale di un veicolo. D’altronde, le importazioni dei marchi europei verso gli USA sono concentrate nei segmenti premium e di lusso, nei quali la redditività ha una certa resilienza. Eventuali spese aggiuntive dovute al cambiamento delle rotte delle navi potrebbero probabilmente essere assorbite dalle case automobilistiche stesse.

Un altro dato che porta conforto è relativo ai livelli di inventario dei maggiori marchi europei negli Stati Uniti, che tendono tutti alla media nazionale, quando addirittura non la superano, con l’unica eccezione rappresentata da Jaguar-Land Rover. Le Case europee dovrebbero poter sostenere l’approvvigionamento per circa 2 mesi e mezzo, fornendo ammortizzando i tempi di spedizione che si sono nel frattempo allungati.

Gli effetti sui porti UE: usati come parcheggi

Contemporaneamente, un’altra voce autorevole come il Financial Times sta notando un fenomeno parallelo nei terminal container del nord Europa: i veicoli importati vi si stanno infatti accumulando, trasformando i porti in “parcheggi per auto”. 

Secondo il FT ciò si dovrebbe a una duplice combinazione di fattori, ossia a una flessione delle vendite e a ostacoli ti natura logistica, come la carenza di autisti di camion.

All’origine di questo trend vi sarebbe un insolito accumulo di auto elettriche cinesi: nell’analisi del FT, alcune aziende prenoterebbero slot di consegna per le spedizioni senza ordinare anche il trasporto successivo. 

A ciò si aggiunge che i produttori di automobili sono in competizione per ordinare le bisarche necessarie ad evacuare le vetture in consegna, a causa della mancanza di autisti e di attrezzature per spostare i veicoli.

Nell’attesa, i distributori di auto stanno ricorrendo ai parcheggi delle auto nei porti come depositi, invece di immagazzinare le auto presso i concessionari.

A segnalare la situazione è il porto più trafficato d’Europa per le importazioni di auto, ossia quello di Zeebrugge, sussidiario del Porto di Anversa-Bruges.

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