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Supply Chain globali in fibrillazione: le manovre pre ‘peak season’

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Foto di Michael Treu da Pixabay

Tariffe Shipping in crescita, container introvabili, il tutto in un contesto di sovraccapacità reale o millantata da parte del mondo delle spedizioni marittime. Se c’è una paradossalità in quanto sta avvenendo – per la verità ancora poco chiaro – nelle spedizioni marittime che alimentano la catena di approvvigionamento globale, è la sorpresa da parte delle compagnie di Shipping per i rialzi delle tariffe di noleggio di container e spazi in stiva.

Eppure, non si parlava, additandola quasi come colpevole, di sovraccapacità?

In questo momento la catena di approvvigionamento globale rivive una fase del tutto simile a quella pandemica, con colli di bottiglia presso porti e hub di transhipment in giro per il mondo – da Singapore a Barcellona – e con una seriale difficoltà a reperire container sui quali imbarcare le merci.

Perché? Come si è arrivati a questo nuovo punto critico? Soprattutto, a che cosa prelude?

Dove sono i container?

Già che ci siamo, chiediamoci anche dove sono le portacontainer. Nell’ultimo anno una delle informazioni rimbalzata più volte riguardava l’acquisita sovraccapacità da parte delle compagnie armatrici, conseguente ad uno dei più floridi periodi storici per gli ordini e le consegne di nuove unità

Anche grazie ai proventi derivati dagli anni del Covid, le grandi sorelle della navigazione merci hanno potenziato le flotte, aggiungendo nuove commesse ai cantieri che si sono sommate alle consegne delle mega-navi ordinate negli anni precedenti.

Secondo MDS Transmodal, società britannica di consulenza sulle politiche marittime, tra secondo, terzo e quarto trimestre dell’anno è stato consegnato un piccolo ‘esercito’ composto da 322 navi con capacità superiore agli 800mila Teu, ma, ciò malgrado, le previsioni (ad esempio di Xeneta) per le tariffe spot parlano di un aumento a 5.170 dollari per feu (fourty-foot equivalente unit, ossia i container con taglio da quaranta piedi secondo il sistema anglosassone) al primo giugno, con un rincaro del 57% accumulato nel mese di maggio, e del 50% per quanto riguarda i trasporti merci sulla costa orientale dell’Asia.

Il bollettino non lascia molto scampo: sulle rotte dall’Asia all’Europa le tariffe spot sono cresciute del 63% per gli approdi al Nord Europa e del 46% per quelli nel Mediterraneo.

Se è vero che un servizio costa di più quando la domanda è superiore all’offerta, dove sono tutte le portacontainer

La teoria cinese

Due sono le risposte, cui seguono almeno altrettante ipotesi: le portacontainer sono in parte ormeggiate presso certe banchine, in parte in viaggio nei mari dell’Asia, dell’Africa Orientale e dell’America Latina.

Qui si aprono diversi scenari, entro ciascuno dei quali si può sbirciare rischiando di scoperchiare dei vasi di Pandora. Di portacontainer ormeggiate ‘pare’ ne siano state viste tante nei porti asiatici: è d’obbligo il condizionale in quanto si tratta di notizie difficili da confermare, ma negli ambienti dello Shipping si vocifera di un inusuale quantità di navi ferme tra le cosiddette ‘contract cargo’, ossia i cargo noleggiati.

Quale potrebbe essere la motivazione si può solo ipotizzare, ma una notizia che trova ben più riscontri è che nel 2024 molte rotte tra Cina e Africa, Cina e Bangladesh, India e Bangladesh, Cina e Sud America siano cresciute in termini di volumi di traffico. Questi aumenti vanno di pari passo con due fenomeni, ossia il riorientamento delle rotte marittime dopo il fermo quasi totale del Canale di Suez per la crisi del Mar Rosso, con nuovi terminal portuali divenuti hub di transhipment quasi dall’oggi al domani, e l’investimento infrastrutturale cinese in nazioni limitrofe a storici mercati per entrare nei quali gli sbarramenti si stanno facendo sempre più alti per le merci di Pechino (leggi Stati Uniti d’America).

In pratica, un’interpretazione plausibile è che la fabbrica del mondo, la Cina, stia ammassando merci, facendo inventario, in aree del mondo più deregolamentate, per poi farle entrare sui mercati veramente appetibili passando attraverso la porta di servizio – ad esempio: stoccando merci in America Latina, che non impone dazi alle importazioni cinesi, per poi vendere negli Stati Uniti passando le frontiere come importazioni via terra dal Messico o altri Paesi sudamericani. Per fare ciò necessita di navi e container, che tiene dunque in sua disponibilità sottraendoli ad altre rotte.

Una prospettiva più cupa è che la manovra sia orchestrata in vista di possibili turbolenze geopolitiche nel prossimo futuro tali da limitare i traffici marittimi, portandosi così vanti facendo una specie di ‘fondo’ prima che la Supply Chain vada a singhiozzi.

Conseguenze delle strategie anti-Mar Rosso

L’altra parte di navi ferme, più che ormeggiate in banchina è in rada, in attesa di sbarcare e sdoganare le merci: molti porti sia in Asia – come Singapore che ha riattivato a maggio terminal dismessi per fluidificare la congestione creatasi o come Colombo in Sri Lanka, infrastrutturalmente debole per fare da hub di transhipment sulle rotte che ‘rimbalzano’ da Suez – sia in Europa – come Barcellona – stanno vivendo congestioni che ricordano quelle del 2020.

Si tratterebbe delle conseguenze di diversi fattori: uno è quello sopracitato, ossia la carenza di container e navi a dispetto della sovraccapacità su carta, in quanto richiamate nell’area asiatica, l’altro è rappresentato dalle strategie di gestione delle ‘chiamate’ delle navi da parte degli armatori dopo la ristrutturazione dei servizi a seguito della crisi nel Mar Rosso.

Molte compagnie hanno infatti ridotto il numero di collegamenti per ammortizzare i prolungati tempi di navigazione, cui si somma il ricorso a mega-navi, che trasportano quantità di container enormi: l’impatto sugli scali è duplice e devastante, in quanto queste portacontainer ‘vampirizzano’ i servizi dello scalo, richiedendo l’impiego di unità più piccole per stoccare e frammentare i container da sbarcare. Inoltre molte trasportano merci che vanno ulteriormente reimbarcate per altre destinazioni regionali.

Il risultato è una congestione dei mezzi e una saturazione degli spazi che mette in crisi anche i porti attrezzati e richiede ad altri di improvvisarsi hub di transhipment anche se non è nella loro natura: Barcellona è fra questi e in pochi mesi ha registrato un incremento fino al 70% dei servizi di transhipment.

Grandi manovre?

Cercando di dare una visione d’insieme, il filo conduttore intercetta tre variabili dominanti: le tensioni geopolitiche che interessano il pianeta e che suggeriscono di non leggere poi così separatamente gli uni dagli altri i diversi fenomeni in atto, il ruolo delle compagnie di Shipping, che gestiscono rotte e navi cercando di mettersi sempre al vento rispetto agli equilibri mondiali dell’economia, giocando una partita difficile da comprendere perché su scala planetaria, e gli interessi cinesi, che potrebbe essere un Deus ex Machina attivo nel riorganizzare traffici e disponibilità di mezzi in funzione di un gioco di anticipi nei confronti di dazi e altre mosse Occidentali nei suoi confronti.

Detto questo, anche se nessuna analisi riesce ad interpretare con sicurezza quanto si stia delineando all’orizzonte, è lecito aspettarsi tensioni lungo la catena di approvvigionamento, per via di sussulti dello shipping e colli di bottiglia, nella prossima ‘peak season’, l’alta stagione estiva delle forniture.

Il timore è che una lettura più in profondità non si fermi col vedere una semplice manovra a tenaglia per aumentare i costi dello Shipping ed ottenere extraprofitti, ma che possa intuire una preparazione strategica in attesa d’altro.

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