Ultimo miglio: perché non elettrico?

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Le limitazioni ambientali in cui incorre la percorrenza dell’ultimo miglio potrebbero essere superate con l’impiego di mezzi elettrici, la cui diffusione, però, incontra ancora molte difficoltà

I problemi della distribuzione in quello che viene comunemente indicato come ultimo miglio, sono strettamente legati alla percorribilità delle aree urbane e alla salvaguardia dell’ambiente nelle stesse.

Il boom dell’e-commerce, con il conseguente aumento delle consegne di piccoli pacchi nelle aree cittadine, ha ulteriormente amplificato le difficoltà che tali operazioni incontrano nel rispettare i principi di sostenibilità nell’ultimo miglio.

L’attraversamento delle città, a maggior ragione quelle dotate di centri storici, deve, infatti, affrontare con sempre maggior frequenza, l’inseverimento di norme dettate dalla necessità di ridurre le emissioni di sostanze nocive per la salute delle persone, di tutelare il patrimonio naturale ed artistico, e di limitare l’inquinamento acustico. 

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Per non parlare della congestione del traffico che mette a rischio i tempi di consegna oltre che far lievitare i costi per l’eccessivo consumo di carburante.

I veicoli elettrico, oggi ormai una realtà nell’ambito delle possibili opzioni di trasporto cittadino, potrebbero essere una risposta adeguata per le consegne nell’ultimo miglio.

Tuttavia, negli Stati Uniti, come in Europa e nella stessa Italia, le resistenze al loro impiego non mancano e fanno si che la loro diffusione ancora non decolli.

Lo sottolinea la ricerca “The last Mile Sustainability Perspective”, condotta da Dispatch Track, società globale leader nello sviluppo di tecnologie per la consegna nell’ultimo miglio, i cui risultati, sebbene riferiti alla realtà americana, possono estendersi anche ad altri paesi europei e all’Italia.

 

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L’opzione elettrica

Secondo lo studio, che ha coinvolto 142 professionisti della logistica in rappresentanza di una molteplicità di settori, dalla distribuzione di alimentari e bevande agli elettrodomestici, dai mobili alla logistica conto terzi, dall’edilizia all’agricoltura, ben l’85% delle organizzazioni che fanno parte della supply chain prenderebbe in considerazione l’inserimento nel proprio parco di alcuni veicoli elettrici, soprattutto per abbassare i costi del carburante, ma solo il 14% lo fa realmente o ha pianificato di farlo nel breve termine.

Pertanto, pur riconoscendo il contributo che la movibilità elettrica potrebbe dare al tema della sostenibilità ambientale, prevale una forte negatività al loro uso.

Le motivazioni addotte da circa il 27% del campione riguardano gli alti costi d’acquisto, mentre una percentuale quasi analoga (26%) ritiene che manchino le strutture adeguate al loro impiego, in termini soprattutto di impianti per la ricarica.

Rilevante, poi, osservare che quasi la metà degli intervistati (47%), ammette di non conoscere abbastanza i veicoli elettrici, segno evidente di una comunicazione ed una formazione che, in questi anni, è rimasta molto latitante sull’argomento ed ha, fino ad oggi, impedito la creazione di una cultura sull’argomento.

Un tema che accomuna paesi diversi e, verosimilmente, rappresenterà uno degli ostacoli più difficili da rimuovere in tempi brevi.

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Obiettivo sostenibilità 

Malgrado ciò, dal sondaggio emerge, abbastanza chiaramente, che esiste un forte interesse per le metodologie che possono consentire di migliorare la sostenibilità che per il 77% del campione rappresenta una priorità.

Per la maggior parte però, il suo raggiungimento prevede l’impiego di strumenti abbastanza noti, poco innovativi e non rischiosi come l’ottimizzazione della capacità di carico dei camion (61%) in modo da ridurre il numero dei viaggi, il miglioramento dell’efficienza dei percorsi per ridurre le emissioni (54%), l’offrire opzioni di consegna al cliente (16%) in chiave di minore inquinamento ambientale. Per il 17%, infine, sono necessari investimenti tecnologici.

La sensibilità nei confronti della sostenibilità sembra condivisa anche da buona parte della clientela. 

Numerosi sondaggi, infatti, mostrano che oltre il 50% delle persone intervistate la ritiene importante al punto da accettare anche tempi di consegna più lunghi se l’azienda incaricata della distribuzione è impegnata a condividerne i valori. 

Per una parte minoritaria, ma comunque rappresentativa di una nuova percezione della tutela ambientale, in questi casi sarebbero accettabili anche costi di consegna più alti.

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