Automazione nell’industria: un’opportunità, a patto di ripensare il lavoro

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La diffusione dei robot accelera e con essa le frizioni con il mondo operaio e con la gestione del personale

Non si ferma il vento con le mani”, citazione da Seneca spesso usata, descrive bene quanto stia accadendo nel mondo dell’industria e della logistica: la robotica si diffonde, sospinta dagli indubbi ritorni economici che garantisce in virtù di efficienza e competitività, ma la dinamica di lavoro e di gestione del capitale umana viaggia ad una velocità decisamente diversa.

La fotografia non riguarda tutto il settore, esistono esempi virtuosi, ma diversi Paesi europei iniziano a raccogliere le lamentele delle associazioni sindacali dei lavoratori, che rilevano una tendenza analoga a quella consolidata in nazioni extraeuropee con meno tutele dei diritti.

Che digitalizzazione e robotica prendano campo sembra inevitabile ed è effettivamente conveniente per il profitto aziendale (ma anche per la sicurezza dei luoghi di lavoro e per la minor fallaci dei processi di lavorazione), ma la rapidità con cui lo fanno non lascia spazio ad una riorganizzazione della forza lavoro umana.

Si apre dunque un fronte di resistenza interna che farà discutere in futuro, per il quale la ‘robotizzazione’ dell’industria è sinonimo di disoccupazione.

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Il rapporto dell’Università di Barcellona

L’Università Autonoma di Barcellona, in Catalogna (Spagna), insieme alla Fondazione IMAN, ha redatto un rapporto su quella che viene definita una tendenza inarrestabile, ossia il dilagare dei robot in ambito industriale.

L’effetto ‘collaterale’ è l’abbassamento dei salari e la diminuzione dell’occupazione: la realtà spagnola starebbe infatti introducendo l’innovazione tecnologia facendo attenzione solo all’aspetto del profitto aziendale, non preoccupandosi di riconvertire i lavoratori resi superflui dalla maggior efficienza delle macchine.

 

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Dati spagnoli, tendenza europea

I dati diffusi sulla penisola iberica sono eloquenti: il numero di robot industriali è cresciuto del 262% e, in contemporanea, l’occupazione è calata negli stessi settori d’impiego del 17%.

Su queste informazioni si innesta la critica dei sindacati, che evidenziano come soltanto il 21% delle aziende adduca la carenza di manodopera specializzata a motivazione per l’installazione di sistemi robotici, mentre ben l’85% non nasconda di farlo per massimizzare i profitti.

A peggiorare il quadro, il dato che vede poco più di un settimo delle aziende spagnole ad aver offerto attività di formazione ICT ai propri dipendenti, confermando implicitamente la tendenza ad installare robot per ridurre i costi.

Il fatto è che l’andamento trova analogie in vari Paesi, con l’esempio planetario della Cina, dove i salari sono scesi del 9% a fronte di un’occupazione in calo del 7,5%: l’allarme pertanto lanciato dall’Università catalana è che per ogni robot installato, si perdano due posti di lavoro.

 

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Rimodulare il lavoro

La proposta concreta che viene fatta dai sindacati iberici è di mettere mano alla settimana lavorativa. La prima risposta va infatti a parare direttamente sul modo in cui sono impiegati i lavoratori, nel tentativo di frenare la disoccupazione: settimana di 32 ore distribuite su 4 giorni e potere d’acquisto immutato.

È però necessario che intervengano i governi, stabilendo delle contropartite sociali per evitare di avere un punto di rottura tra aziende ipertecnologiche e super-performanti e livelli di occupazione; la riconversione del personale, la sua formazione verso allocazioni più concettuali e di valore, l’apertura a nuove figure professionali e di nuovi canali occupazionali proprio nel campo dell’ICT in forte espansione.

L’automazione e l’industria 4.0 sono un’opportunità che però deve essere accompagnata da una strategia più ampia, il che richiama l’attenzione anche sul ruolo degli Stati e del welfare sociale.

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