Cina, export in calo: le ripercussioni sullo shipping

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L’economia cinese ha forti influenze, anche indirette, sulla logistica marittima. Preoccupazione per il calo delle esportazioni

L’economia cinese rallenta, le esportazioni non riescono a riprendere ai ritmi pre-pandemici e, nel confronto tra singoli mesi, esibiscono un indesiderato segno ‘meno’.

Se Pechino esporta o importa poco, delle conseguenze si evidenziano subito anche in diversi settori della logistica, in particolare del mare: seguendo la legge del battito d’ali della farfalla, il minimo evento in terra asiatica sembra ripercuotersi sulla catena di approvvigionamento in cerchi concentrici sempre più forti.

C’è chi vede dietro a questi segnali l’incombere di un indebolimento dell’economia cinese, le cui prime avvisaglie si manifesterebbero attraverso i volumi di importazioni ed esportazioni, e chi pensa si tratti di un malessere passeggero.

Fatto sta che attraverso l’andamento dei container si può tastare il polso dell’economia del colosso asiatico.

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Il ruolo della Cina per il trasporto via mare

Da chiarire c’è subito un punto, ossia quanto sia importante il ruolo giocato da Pechino sullo scacchiere marittimo dei trasporti. Infatti portacontainer, petroliere, gasiere e portarinfuse dipendono per una grandissima quota dall’import-export cinese; si può dire che Pechino, da sola, giustifichi l’esistenza di una grande fetta di queste flotte.

Torna utile a tal proposito un detto: “Si dice che tutto quanto esca dalla Cina in un container debba esservi prima entrato come materia prima”; non fa una piega e rende bene l’idea di che cosa voglia dire un rallentamento di tale cinghia di trasmissione alimentata dai cinesi.

 

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Cosa succede all’export cinese

Le esportazioni cinesi, nel confronto diretto con il 2021, sono aumentate a luglio 2022 del +18%, ma ad agosto hanno registrato una netta battuta d’arresto: previste intorno al 12,8%, si sono attestate ‘solo’ al +7,1%.

Con gli Stati Uniti, al di là delle guerre commerciali uno dei più affezionati acquirenti di prodotti Made in P.R.C., il rapporto è problematico, in quanto è sia calata la domanda, sia l’offerta, scesa di poco meno del 4% ad agosto rispetto ad un anno fa, dopo una crescita dell’11% a luglio.

A soffrire sono proprio le grandi produzioni cinesi: acciaio, petrolio raffinato, ma anche le importazioni di propano e butano, vale a dire Gas Naturale Liquefatto, indispensabile per generare energia e del quale Pechino è forte importatrice.

 

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Segni di una crisi sistemica?

Sul perché l’economia cinese rallenti gli analisti sono discordi, sostanzialmente divisi tra chi vi legge l’inizio di un declino e che pensa si tratti solo di un sassolino nell’ingranaggio.

Di certo vi sono molteplici cause contingenti: una è ancora il Covid, soprattutto per via della politica di tolleranza zero adottata da Pechino e che ha nuovamente imposto dei lockdown nell’area di Chengdu, nonché una nuova serie di provvedimenti validi sino a tutto ottobre.

A ciò si sommi che in parte della Cina si sono registrate le temperature più alte da 60 anni a questa parte, in aggiunta ad una forte siccità: la conseguenza è stata un’altra forma di ‘lockdown’, di tipo energetico questa volta, che ha portato alla chiusura di diversi impianti produttivi ad esempio nel Sichuan.

 

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Il caso dell’acciaio

La Cina produce acciaio per il resto del mondo, ma quest’estate si è dovuta quasi fermare: i problemi legati al caldo ed all’energia hanno forzato la sospensione dell’attività in 20 acciaierie; l’effetto è leggibile nei dati di produzione, calati del 6,1% rispetto al 2021 nel periodo gennaio-luglio. Nel solo confronto tra luglio e giugno 2022 il calo è stato del 10%.

Tanto per dare un’idea dei legami che interessano la logistica su scala intercontinentale, la produzione di acciaio cinese fa da volano per la domanda di importazioni di minerali ferrosi verso Pechino, in particolare dall’Australia e dal Brasile: i tassi spot per questo trasporto via mare sono crollati da maggio 2022 a settembre 2022 oltre 30mila dollari, in pratica ‘affondati’ assieme alle importazioni cinesi.

Date le circostanze, le previsioni parlano di una timida ripresa della domanda solo nella primavera 2023, il che vuol dire una stagnazione al ribasso anche dei trasporti marittimi che se ne occupano.

 

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Altra cartina di tornasole, il greggio

Sempre per i blocchi dovuti al Covid ed alla crisi energetica sono precipitate anche le importazioni cinesi di greggio: cresciute dai circa 4 milioni di barili al giorno del 2009 agli oltre 10 milioni del 2019, ha iniziato a perdere colpi durante la pandemia, per poi calare di 550mila barili/giorno nel 2021.

Giugno 2022 ha registrato 8,7 milioni di barili al giorno (il punto più basso dal 2018), per attestarsi a 8,8 milioni a luglio e 9,5 milioni ad agosto: rispetto ai primi sei mesi del 2021 le importazioni di greggio verso la Cina sono calate del 5,2%.

Le prospettive non sono nemmeno qui delle più rosee, in quanto entro fine anno dovrebbe entrare in funzione un nuovo impianto di raffinazione, in grado di superare il fabbisogno interno; Pechino dovrebbe spingere sulle esportazioni, ma la politica attuale non va in quel senso.

 

Propano, ulteriore tassello 

A viaggiare meno, toccando la movimentazione delle navi gasiere, sono anche GPL e GNL.

I Gas derivanti da Petrolio Liquefatto, come propano e butano, sono fondamentali per alimentare gli impianti di de-idrogenazione dai quali si ricava propilene, a sua volta necessario per produrre polipropilene e dunque plastica.

Un calo delle importazioni fa intuire come, a catena, vi saranno meno produzione di svariati oggetti destinati ai mercati di tutto il mondo e che ben sulle navi avrebbero viaggiato.

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