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Cina, nuovo rebus per la Supply Chain: porti e produzione al remake del 2020?

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Porti bloccati dal Covid, container vuoti per mancanza di ordini, scorte ai massimi storici. Contraddizioni e rischi del 2023 visto da Pechino

Tutto iniziò con il Capodanno cinese, detto anche Capodanno Lunare, con i suoi 40 giorni di festeggiamenti e di spostamenti in massa per milioni di cinesi in visita ai parenti in ogni zona dello stato asiatico e conseguente ritorno nelle zone di partenza, in patria come all’estero: il Covid-19 ‘decollò’ così. A gennaio 2023 si vorrebbe poter dire che con il capodanno cinese si chiuderà anche il triennio pandemico, eppure non ci si può permettere tanto ottimismo.

Anzi, proprio il mondo della Supply Chain sta ancora una volta facendo da barometro per le pressioni che i movimenti cinesi provocano su di essa, prima linea di un qualcosa che poi andrà a ripercuotersi su tutto il globo.

 

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In un anno tutto sommato considerato tranquillo dal punto di vista degli scambi marittimi – eccetto che per il blocco del polo terminalistico di Shanghai in primavera – è piombata l’improvvisa decisione di Pechino di annullare o quasi le restrizioni agli spostamenti ed i lockdown duri, spesso preventivi, giustificati con la ‘politica Zero Covid’. Vuoi per dare uno sfiato alle proteste montanti scaturite in molte parti della Cina, vuoi perché, come molti analisti osservavano, i continui blocchi rallentavano la produttività dell’economia di Pechino, sta di fatto che il Capodanno lunare sarà affrontato quasi come in un normale anno pre-pandemia.

Una buona notizia? Insomma, data la scarsa trasparenza di Pechino nel comunicare la reale situazione sanitaria, con numeri che appaiono estremamente sottostimati per giustificare sia le restrizioni appena abolite, sia il progressivo rallentare dell’operatività di porti e fabbriche causa malattia.

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Il rischio di una nuova miccia

In mezzo a quelle che, in pratica, suonano come congetture, si deve osservare qualche punto fermo. Ciò che la Supply Chain sta riportando – ne è fonte autorevole per l’Italia Il Sole 24 Ore – è un duplice fenomeno che colpisce la catena di approvvigionamento lato asiatico.

A poche settimane dall’allentamento delle restrizioni, da una parte c’è stato un immediato boom di contagio o, meglio, di assenze dal lavoro causa malattia. Si tratta di una storia già vista, con effetti analoghi a quelli delle restrizioni feroci delle quali i cinesi si sarebbero appena liberati: Shanghai, primo terminal container del mondo con un doppio scalo marittimo e fluviale, Shenzen, quarto al mondo, e Qingdao, sesto scalo del pianeta, stanno registrando un’operatività anomala, con l’indiscrezione eclatante che in quest’ultimo solo un quarto della forza lavoro sia disponibile.

Dati citati dal Sole 24 Ore, fonte MarineTraffic, parlano di un aumento della congestione portuale a Shanghai, tornata alla pari del picco massimo registrato in aprile 2022, come in altri scali magari meno noti a noi occidentali, ma fondamentali per il funzionamento del network terminalistico cinese.

Il rischio, essendo appena all’inizio del mese di festeggiamenti del capodanno cinese, è che la situazione peggiori, riportando alla paralisi delle operazioni portuali con tutto ciò che ne consegue a valle della catena logistica.

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Il boomerang della recessione sull’economia cinese

In concomitanza è da notare un altro fenomeno: la recessione imperante sui mercati occidentali, statunitensi come europei, non si fa sentire solo da noi ma, anzi, incide anche sugli scambi commerciali con la ‘fabbrica del mondo’.

Il calo dei consumi si ripercuote infatti sugli ordini, attesi in calo fino al -40% dagli Stati Uniti, per dare un’idea: dunque le fabbriche ed i porti non rallentano soltanto per la mancanza di personale in servizio, ma anche perché le previsioni sulla domanda sono tutte al ribasso.

Negli scali cinesi i container vuoti, gli stessi che in tre anni di pandemia sono arrivati a valere uno sproposito, molto più della merce stessa che avrebbero trasportato, adesso non vengono nemmeno ritirati in quanto non sono in vista ordini utili a riempirli.

Pechino punta sulla solidità delle proprie scorte per fare fronte ad eventuali picchi di domanda, ma è chiaro che, per le informazioni che traspaiono, il presidente Xi sta facendo l’equilibrista su di un filo molto sottile, di cui si intravede a malapena il capo di partenza, non certo quello di arrivo: tra frenata dell’economia, fabbriche in decelerazione, porti congestionati, necessità di trovare nuovi mercati sui quali mantenere alti i flussi di esportazioni, Covid da gestire e l’amico Putin da sostenere, senza mollare la presa su Taiwan e nemmeno inimicandosi l’occidente, ce n’è abbastanza per tessere trame nella nebbia. 

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