Il “rischio Cina” riempie i depositi di container

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I depositi di container nei porti cinesi sono pieni e registrano una bassa movimentazione a causa della perdurante crisi delle esportazioni e dell’indice di rischio rappresentato dal paese

La speranza, condivisa da molti operatori, era che dopo le festività del Capodanno lunare a gennaio, si registrasse un significativo rimbalzo delle esportazioni cinesi.

Così non è stato e il segnale più evidente è rappresentato proprio dai depositi locali di container pieni al punto da non poter accettare nuovi clienti.

Come testimonia l’ultimo rapporto di “Container xChange” l’offerta sta superando la domanda.

Si stima, infatti, che i depositi cinesi stiano lavorando al 90% di utilizzo e manifestano pertanto evidenti difficoltà a movimentare i container stessi sia per ragioni di spazi resi più angusti dal sovraffollamento, sia per la mancata ripresa del mercato verso le redditizie rotte occidentali.

Inoltre, poiché il guadagno dei depositi è determinato dal loro livello di movimentazione, l’attuale situazione induce uno stato di inefficienza delle strutture con pericolose ricadute sull’intero sistema.

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Le prime conseguenze

Tale stato di fatto si ripercuote in primo luogo sulle tariffe di nolo dei container.

Il World Container Index composito di Drewry, società di consulenza e ricerca marittima indipendente che offre servizi di consulenza e informazioni di mercato ai principali stakeholder dell’industria marittima globale, ha indicato, alla rilevazione del 23 marzo, una flessione del 2% attestandosi a 1.756,83 dollari per un container da 40 piedi. 

Un dato che risulta inferiore dell’83% rispetto al picco di 10.377 dollari registrato nel settembre 2021, mentre si colloca il 35% al di sotto della media decennale fissata in 2.690 dollari.

Significativo rilevare, però, che tali tariffe, seppur in drastico calo, siano sempre superiori del 24% rispetto alla media pre-pandemia segnata nel 2019 con 1.420 dollari e rimangono quindi ulteriori margini di discesa e di contrattazione per esercitare azioni competitive sul mercato.

A tale proposito la stessa Container xChange ha rilevato prezzi reali nell’area asiatica compresi tra 1.500 e 1.700 dollari per un container da 40 piedi.

Un ulteriore ricaduta dell’eccesso d’offerta si va registrando nella riduzione del personale che alcune aziende di autotrasporto stanno operando, soprattutto a danno dei camionisti, nei porti più trafficati della Cina come Shanghai, Ningbo e Shenzhen.

Alcune fonti riferiscono anche di tagli ai salari del 30% come conseguenza di una movimentazione stimata dell’80% inferiore a quella pre-Covid-19.

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Il rischio “Cina”

La mancata ripresa delle esportazioni sui livelli attesi è, senza dubbio, alla base della situazione descritta il cui perdurare potrebbe provocare nuove congestioni nei porti, questa volta però per il numero crescente di container inattivi nei terminal.

Per una corretta valutazione dell’evoluzione di tale scenario, è bene tener anche presente che la società d’analisi Everstream, nel suo annuale rapporto sui rischi, ha segnalato l’approvvigionamento da produttori cinesi come il principale tra i rischi delle catene di approvvigionamento nel 2023.

Nel rapporto viene assegnato un punteggio di rischio del 90% alla possibilità di svariati disservizi determinati da fornitori cinesi, quali ritardi, cancellazioni, interruzioni ancora legate al pericolo Covid.19 perdurante nel paese.

A quest’ultimo proposito la politica “zero-Covid” operata dal governo e le successive risposte ai disagi della popolazione e dei lavoratori non hanno convinto gli osservatori commerciali occidentali né rasserenato circa probabili future tensioni.

Un ulteriore fattore di rischio viene poi segnalato nel pericolo di insolvenza finanziaria anche se in Germania e negli Stati Uniti le aziende manifatturiere ed elettroniche hanno subito analoghi o superiori problemi.

Tuttavia, l’aumento dei costi dei materiali e la necessità di capitali superiori possono contribuire a provocare il disagio di piccole aziende il cui eventuale fallimento può comportare un blocco della produzione e l’interruzione della fornitura.

Everstream, nella sua analisi, insiste particolarmente sul rischio rappresentato dai piccoli fornitori, che talvolta operano in posizione defilata nella supply chain e, pertanto, non sono oggetto della dovuta attenzione, ma che quest’anno potrebbero rappresentare una sorpresa in negativo per la specifica turbolenza del mercato.

Altri rischi paventati sono costituiti dalla criminalità informatica e dalle violazioni ESG  (Environmental, Social, Governance). A questi ultimi, che derivano da comportamenti non etici o illegali come la violazione dei diritti umani, il rapporto ha assegnato un indice di rischio pari a 75%, essendo stati identificati molti fornitori in Cina legati al lavoro forzato, tra cui alcuni dei maggiori produttori di rame, nichel e litio.

Questi allarmi giungono peraltro in un momento particolarmente delicato per l’economia cinese anche per la decisione assunta, soprattutto dagli Stati Uniti, di inquadrare i rapporti commerciali con la Cina in termini geopolitici e di diminuire l’eccessiva dipendenza delle aziende occidentali dalle produzioni localizzate sul suo territorio. 

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