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Missili, grano e supply chain

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Il braccio di ferro militare, specchio di quello geopolitico, tiene in scacco la logistica alimentare

È l’argomento del mese, anche se la questione si pose già in febbraio sullo sfondo dello sconfinamento dei mezzi militari di Mosca. Il grano – ma anche cereali e olii di semi vari – ucraino, fondamentale per la filiera alimentare letteralmente di mezzo mondo, non può lasciare il Paese, rischiando di marcire nei silos o di essere distrutto quando non depredato dalle truppe di occupazione ed immesso su mercati ‘alternativi’.

La questione è venuta alla ribalta perché non soltanto la mancata partenza delle navi cariche di frumento costituisce un’interruzione della supply chain alimentare, ma anche perché siamo ormai fuori tempo massimo per trovare una soluzione la problema.

Per scongiurare che la crisi alimentare ed industriale assuma proporzioni in grado di travolgere l’intero ecosistema sociale e politico del nord Africa e, di riflesso, dell’Europa, bisogna sottostare ad un risiko fatto di presunte mire imperialiste, geopolitica internazionale e, ancora, troppi missili.

Foto di Dimitry Anikin da Pixabay – Il porto di Odessa prima del conflitto
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L’importanza del grano ucraino

Basta una stima per far capire quanto sia centrale il problema del frumento che dovrebbe partire dal porto di Odessa: è quella delle persone che si famano ogni anno grazie ai prodotti della sua lavorazione, circa 400 milioni.

La maggior parte è concentrata in Africa, in Paesi che soffrono una condizione di carestia permanente, ma nell’elenco si trovano anche le nazioni del mondo islamico moderato del nord, come Tunisia, Egitto e Libano.

Le esportazioni ucraine sono dirette dunque per lo più al continente africano, con l’aggiunta della Turchia e si tratta per lo più di qualità di grano semplice, adatto alla panificazione.

Come a dire che la crisi alimentare che si sta già manifestando avrà come conseguenza la destabilizzazione interna dei Paesi che rappresentano i poli di maggior equilibrio nell’area medio-orientale e nordafricana, un dettaglio che nella strategia del Cremlino non deve essere stato trascurato.

 

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La filiera che ne fa le spese

Il Mar Nero minato e presidiato dalla flotta militare russa rende inattuabile il passaggio delle navi commerciali e uno dei primi Paesi a perderci è proprio l’Italia: di per sé l’ammanco di frumento ucraino ci colpirebbe solo per il 5% di quel 60% che importiamo, ma la reazione protezionistica di Paesi come Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e Bulgaria ne fanno venire meno un altro 26%.

Altre esportazioni, di prodotto qualitativamente più elevato e richiesto in Italia per lavorazioni con standard più alti, come quelle provenienti dal Kazakistan sono a loro volta bloccate a causa della chiusura dei porti.

Ciò vuol dire che molte aziende che dipendevano da tali importazioni si trovano a secco di rifornimenti, anche perché l’alternativa del trasporto via terra si rivela antieconomica, mentre per mettere in piedi nuovi contratti serve tempo.

 

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Le alternative per il trasporto

Il G7 si sta sforzando di trovare una soluzione per evacuare, letteralmente, il grano dall’Ucraina proprio allo scopo di evitare un potente urto sulla stabilità sociale di quello che spesso si identifica come il ‘sud del mondo’.

Tuttavia i problemi sono notevoli. Sui 772 milioni di tonnellate di grano tenero prodotti globalmente, 29 milioni arrivano dalle coltivazioni di Kiev; secondo quanto si apprende dai media, perché fonti certe è difficile averne in un contesto di guerra, ad oggi ci sarebbero circa 20 milioni di tonnellate di raccolti stoccate nei silos e a rischio marcescenza.

La guerra ha paralizzato l’export, come risulta dalle stime sul mese di aprile, che avrebbe visto attraversare la frontiera ucraina ad un solo milione di tonnellate di grano contro i 5 Mt usuali; senza contare le ulteriori 700mila tonnellate di altre granaglie, mai pervenute.

Kiev in un primo momento scommetteva sui treni, ma lo scartamento ridotto tra le ferrovie ucraine e quelle romene ha raffreddato gli entusiasmi; adesso si parla di allestire rotte su gomma che impegnerebbero 10.000 camion per l’espatrio del frumento. Si tratta però di soluzioni sempre parziali – coprirebbero circa un quarto della capacità normale – e con molti aspetti negativi (basti pensare che per trasportare su gomma il grano dalla Francia al Sud Italia il costo è di circa 50-60€ ogni tonnellata).

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Il ricatto dei missili

In tutto ciò, i Russi sembrano determinati ad impedire che il frumento lasci le coste ucraine. I movimenti della flotta russa nel Mar Nero fanno capire che Mosca non ha nessuna intenzione di lasciare spazio, almeno formalmente, allo sviluppo di ipotesi alternative via mare.

Probabilmente, nemmeno via terra: l’ultima idea per sbloccare la situazione è cercare di far raggiungere al grano stoccato in Ucraina i porti del nord Europa per poi, da lì, essere distribuito, ma resta il nodo di come raggiungerli senza diventare bersaglio dei missili al lunga gittata dei Russi.

L’unico modo sarebbe tenere i sottomarini e le fregate di Mosca a debita distanza dalle coste ucraine e, in quest’ottica, andrebbero lette le annunciate (ma non confermate) forniture di missili antinave Harpoon statunitensi a lunghissima gittata e NSM di fabbricazione norvegese, con raggio d’azione inferiore, ma di già facile trasporto ed utilizzo. Un intreccio tra politica, logistica e guerra che appare sempre più stretto. 

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