Sostenibilità: la vera sfida è rendere trasparenti le emissioni

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Dopo una delle estati più difficili dal punto di vista climatico, la catena logistica non si può più permettere di scherzare con la sostenibilità

Che cosa sia la sostenibilità è un’idea alquanto mutevole: per alcuni è soprattutto una questione di immagine, mentre nell’immaginario ideale essa dovrebbe corrispondere a pratiche tangibili per ridurre l’impatto ambientale.

Dall’accordo di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico sono molte le aziende che hanno annunciato obiettivi al 2030 o al 2050 per rendersi neutrale dal punto di vista dell’inquinamento. Tra la vera Carbon Neutrality e gli obiettivi di sostenibilità aziendali vi è però spesso uno scollamento: fa infatti interpretato il concetto stesso di emissioni inquinanti.

Alla luce dell’accelerazione registrata dal cambiamento climatico e perfettamente nota ormai a tutti i cittadini del mondo, è difficile contestare che l’industria e la Supply Chain debbano prendere sul serio gli impegni ambientali.

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Le vere emissioni inquinanti

Il vero nodo per valutare quanto un’azienda o una filiera produttiva inquinino è capire esattamente come davvero inquinino. Quello che suona come un indovinello si configura come una vera e propria trappola per chi raccoglie dati sull’impatto ambientale delle attività umane.

È sulla natura e l’origine delle emissioni inquinanti che si gioca infatti la vera partita per la neutralità climatica: esistono diversi modi per inquinare e non tutti sono così direttamente rilevabili, rendendo difficile capire, anche per le stesse aziende, quale sia la propria Carbon Footprint.

In buona sostanza esistono tre categorie di emissioni inquinanti, divise a seconda della loro origine. Due di queste categorie sono facilmente tracciabili e fanno riferimento all’inquinamento che deriva direttamente dall’utilizzo di asset fisici come edifici e veicoli o, ancora, dall’utilizzo di corrente elettrica, sistemi di riscaldamento e raffreddamento.

Ben più difficile, ma sostanziale per il suo impatto, e l’inquinamento che deriva dai processi e dalle operazioni a monte e a valle della produzione; è su queste emissioni che ruota il vero impatto di una filiera, ed è sempre su queste che si imperniano i principali fraintendimenti.

 

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I meccanismi di trasparenza

Per falsare le statistiche sul reale impatto ambientale delle aziende o delle filiere produttive, ivi inclusa anche la catena di distribuzione, è sufficiente che le emissioni inquinanti che derivano da questi processi siano raccolte in modo approssimativo.oggi la maggior parte delle industrie e dei brand tengono molto in considerazione il climate change per quanto riguarda l’immagine che danno di sé ai consumatori; tuttavia, anche quando un’impresa certifica che i propri processi si attengono ad un rigoroso rispetto ambientale, è molto probabile che una buona parte delle emissioni prodotte non siano state rilevate.

Questo accade non solo per cattiva fede delle aziende, ma anche perché è molto complesso controllare tutti i partner di una filiera che spesso inizia in un continente e finisce in un altro.

Tanto per dare un’idea, la società di consulenza Wyman sostiene che il peso delle emissioni derivanti da processi a monte e a valle della produzione, quindi compresa anche la logistica, arrivi al 98% delle emissioni reali di un’azienda.

Il problema sta nella trasparenza e nel tracciamento dei dati: molti fornitori, sia di materie prime e semilavorati, sia di servizi, si rifiutano in base alle proprie normative nazionali di dare informazioni certe sulle proprie operazioni inquinanti. Vi è anche da dire che a seconda della zona del mondo nella quale ci si trova ad avere a che fare non esistono degli standard condivisi per la raccolta di questi dati.

Succede dunque che la tanto agognata trasparenza di cui le imprese vanno fiere si trova ad essere inficiata in partenza da una permeazione inaffidabile dei dati sull’inquinamento emesso.

 

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Non solo anidride carbonica

Altra questione significativa è data dal concentrarsi spasmodicamente sulle sole emissioni inquinanti di tipo atmosferico; altrettanto importanti sono infatti diverse materie prime fondamentali per la produzione industriale delle quali si tiene molto meno traccia.

Ad esempio, i consumi di acqua nei processi di tante produzioni rappresentano una fonte di impatto ambientale significativa: eppure non esiste una sistematica registrazione di questi consumi, il che significa che il più delle volte sfuggono al conteggio dell’impronta ambientale complessiva.

Anche in questo caso, quando non è l’azienda di testa a venir meno alla sua coscienza ambientale potrebbero esserlo alcuni dei subfornitori, dai quali spesso è molto difficile ottenere informazioni dettagliate. 

 

Il rispetto dei valori ESG

Con il rispetto dell’ambiente si può anche guadagnare. Certo, questo non avviene in breve tempo: le pratiche sostenibili, con l’implementazione del riuso di materiali non ancora esausti, portano con sé anche una riduzione dei costi, specie se nel bilancio complessivo si tengono in considerazione le imposizioni normative, spesso sanate a colpi di multe. 

Accenture, società specializzata nelle analisi industriali e di mercato, di comune accordo con il World Economic Forum ha rilevato che le aziende che integrano con successo pratiche ESG – sigla che sta per “ambientali, sociali, di governance” – generano mediamente profitti superiori del 20% rispetto alle concorrenti.

Sempre a Accenture ha rilevato che su 521 aziende leader a livello mondiale ben il 43% di esse non ha ancora raggiunto i valori ESG promessi. 

I critici sostengono che tra le aziende vi sia una discriminante di base quando si parla di risultati ambientali: si possono sostanzialmente distinguere le società che davvero puntano ad un miglioramento delle proprie performance inquinanti osservando il collocamento delle risorse. Con queste si intendono proprio le risorse umane, vale a dire la presenza di manager nei ruoli chiave preposti al controllo dei processi piuttosto che nella sola area dedicata al marketing e alla comunicazione.

Quand’anche una filiera produttiva stia compiendo tutti gli sforzi necessari a ridurre il proprio impatto ambientale, rimane il nodo cruciale delle emissioni e dell’utilizzo delle risorse a monte a valle dei processi, per le quali servirebbe una standardizzazione dei dati e, soprattutto, un’obbligatorietà nella loro raccolta.

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