Spedizioni navali, quanto costa Covid-19 al settore globale

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Se la Cina da segni di ripresa, ora sono Ue ed USA ad inciampare negli stop da contagio; un primo bilancio dell’impatto avuto sulle spedizioni via mare

Il settore del trasporto marittimo è stato il primo ad accusare il colpo: lo “slowdown” della produzione industriale e delle operazioni portuali in Cina ha provocato un crollo delle spedizioni via nave, con gli armatori obbligati a cancellare ben più corse delle proprie navi di quelle che il tradizionale capodanno cinese imponga.

Inizialmente calcolare il danno risultava difficile proprio per via della concomitanza con il capodanno lunare e delle relative vacanze nel mondo asiatico, sommata alla crescita delle esportazioni dalla Cina registrata a fine 2019 per prevenire l’entrata in vigore dei dazi statunitensi, che gioca un ruolo forte nel falsare la lettura dei dati.

Ora si intravedono informazioni più chiare, sebbene l’uscita dal tunnel sia tutt’altro che in vista: alla ripresa della Cina sta infatti facendo da contraltare il contagio del resto del mondo, che potrebbe rallentare in molti settori non più chi offre, bensì chi domanda.

1,9 miliardi di dollari le perdite per le navigazioni mercantili

Citando i dati condivisi da SupplyChainDive ed originariamente divulgati da Sea Intelligence, sarebbero 1,9 i miliardi di dollari bruciati dalle compagnie di navigazione di tutto il mondo a causa dei viaggi annullati o effettuati a stiva scarica.

Sulla rotta transpacifica sono 111 le “corse” annullate, 75 quelle sulla rotta tra Europa ed Asia.

Il dato interessante è rappresentato da quante di queste rechino il Covid-19 come causa, ossia 48 su 111 tra Cina e USA e 29 su 75 verso l’Europa. Il resto era già stato annullato per via del capodanno cinese.

I quasi due miliardi di dollari persi sono poi una stima provvisoria, in quanto molti armatori, dopo aver ridotto di milioni di TEU la capacità di carico per non far viaggiare a vuoto le navi, adesso attendono un riallineamento tra l’offerta produttiva cinese e la domanda occidentale.

Il problema, ora, pare spostarsi proprio sul fronte occidentale.

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La ripresa cinese c’è, sebbene non si possano escludere “ricadute” sanitarie e del sistema industriale.

Oltre agli annunci dei produttori industriali, ci sono le rilevazioni effettuate da Hapag-Lloyd, che confermano una rediviva attività all’interno del paese asiatico anche per i collegamenti portuali.

Per quanto i volumi trasportati via mare dalla Cina all’America siano ancora al di sotto delle medie annuali, produttori come Foxconn hanno previsto un ritorno alla normalità nel prossimo quarto fiscale del 2020, mentre la capacità produttiva l’attuale è stata ormai decurtata anche del 50%.

Per i Cinesi, adesso, i problemi sono due: il collo di bottiglia dovuto ai minori vettori operanti via mare ed aria – con relative ripercussioni sui costi -, ed il possibile freno agli ordini da parte delle nazioni colpite dal Covid-19 in tutti quei settori non ritenuti fondamentali.

Il caso del porto di Los Angeles

Un esempio spiccio di quanto aspettarsi in Occidente può venire dal porto statunitense di Los Angeles: nel confronto annuale dei dati sui volumi di merci, Febbraio ha registrato un secco -22,9% che lo stesso ente portuale ha ricondotto agli effetti del lockdown industriale cinese.

I dati dell’import dall’Asia erano già in declino per via dell’applicazione dei nuovi dazi protezionistici voluti da Trump ed il Covid-19 ha così fatto diluviare sul bagnato, più che piovere.

Giunti a marzo inoltrato, a due mesi dall’inizio della crisi sanitaria in Cina, tutti gli analisti si aspettano un picco nella ripresa delle operazioni portuali grazie alla rinascita delle esportazioni dall’Asia. Una ripresa che gli operatori americani vorrebbero cavalcare senza se e senza ma.

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Tuttavia, questa boccata d’ossigeno è minata dalla paura che l’aver sottovalutato la situazione in Occidente – e negli Stati Uniti in particolare – possa portare ad uno “scenario cinese” in casa, con focolai incontrollati e quarantene che possono portare allo stop di chi, questa volta, usa l’export cinese per produrre.

(Ad oggi, nella sola contea di Los Angeles sono oltre 350 i casi accertati, 4 i decessi; le misure intraprese sono equivalenti alle prime fasi dell’emergenza vissuta in Italia: chiusura di scuole, proibizione di eventi pubblici, distanziamento sociale e passaggio allo smart working)

Come in una pianificata strategia militare, il virus prima ha tagliato i rifornimenti all’Occidente colpendo l’Asia, per poi prendere noi stessi alle spalle. Qualcosa di tutt’altro che imprevedibile, almeno dal punto di osservazione di Trump & Co.

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