Tecnologia, management della Supply Chain e ambiente risultano costituire un unico complesso ambiente di lavoro. Il legame tra l’esigenza di ottimizzare i processi, renderli meno impattanti sull’ambiente ed il ricorso alla tecnologia è intrecciato a tal punto da essere divenuto indissolubile.
Ogni catena logistica oggi deve però fare i conti con la necessità di innovarsi per rimanere agganciata al treno della produttività, aderendo ad una transizione ecologica che non sia soltanto di facciata, ossia mero greenwashing.
A tal proposito la blockchain, una delle novità tecnologiche degli ultimi 10 anni, divenuta popolare nel nome ma rimasta oscura nel suo effettivo significato, si avvia a giocare un ruolo determinante sia nella gestione della Supply Chain, sia nella sua decarbonizzazione.
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Crediti ambiental: quali garanzie?
Oggi uno dei modi utilizzati dalle aziende per dare di sé un’immagine ‘green’ è l’acquisizione dei cosiddetti ‘crediti ambientali’ o ‘carbon credits’, all’inglese.
Per guadagnarli esistono due strade, entrambe disseminate di chiaroscuri: la prima, su base volontaria, avviene con il finanziamento da parte dell’azienda interessata di progetti volti a ridurre o assorbire emissioni di CO2, mentre la seconda è forzosa, con l’introduzione di limiti di emissioni per settore industriale da parte dei governi e l’obbligo a compensare gli sforamenti acquistando crediti da aziende virtuose che ne abbiano in eccesso.
Il meccanismo è chiamato ‘Cap and Trade’ e genera, come si intuisce facilmente, un vero e proprio mercato dei crediti ambientali, con tutti i limiti, di efficacia effettiva e di trasparenza, che si possono immaginare.
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Il mercato del ‘green’
Ancora più simile ad un qualsiasi mercato è la dinamica di finanziamento volontario di progetti ‘green’ in giro per il mondo: esistono veri e propri intermediari specializzati, cui le aziende si rivolgono, che trattano la compravendita di crediti ambientali.
Questa sorta di dettaglianti dei crediti ne fanno incetta presso chi effettivamente avvia un progetto di riqualificazione, decarbonizzazione o assorbimento delle emissioni per poi rivenderli, con l’aggiunta di una commissione, alle aziende interessate; come risulta subito chiaro, è difficile vagliare la trasparenza e l’origine di questi crediti, la cui mediazione avviene esclusivamente tra privati e a porte chiuse.
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La blockchain può aiutare?
Questi scambi commerciali di ‘indulgenze verdi’ sono ovviamente profilati, schedati e immagazzinati in database controllati dai broker che si occupano di intermediazione, un po’ come farebbe qualsiasi azienda con i propri clienti.
Il limite di questo sistema, che riguarda però un qualcosa che ha una ricaduta di interesse pubblico e globale come l’effettiva transizione ecologica di un’azienda, è che i dati non sono di pubblico dominio e la loro veridicità, nonché l’integrità è garantita solo dall’amministratore, vale a dire il broker.
Questo non pone una questione soltanto al consumatore o all’ente statale che si chiede come verificare se davvero i crediti dell’azienda ‘x’ siano affidabili, ma in primis all’azienda stessa. Capire che valora abbia quel che si sta acquistando è infatti difficile, in quanto i mercati dei Carbon Credits sono generalmente centralizzati e autoreferenziali, stabilendo un prezzo ‘azionario’ specifico che però non risponde ad uno standard o ad una governance chiara.
Di fatto i crediti risultano anche molto cari e quindi di difficile accesso alla maggior parte delle aziende.
Questo retroterra mette la blockchain in pole position per giocare un ruolo determinante.
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Tecnologia per la trasparenza
La blockchain si fa largo in questo mercato per via della sua caratteristica fondante, ossia l’integrità della catena di scambi e delle informazioni legate ad ognuno degli step.
Nella blockchain, infatti, la programmazione è blindata e non modificabile: si tratta di uno strumento di tracciatura degli scambi non corruttibile, nelle intenzioni di chi l’ha inventata. Esistono già degli sviluppatori che hanno introdotto la blockchain all’interno delle interazioni fra aziende e broker di crediti, codificando questi ultimi sotto forma di token.
Oltre che più trasparente, questa tecnologia rende più efficiente tutta l’operazione di contrattazione e scambio tra le parti. Di fatto, la blockchain potrebbe stimolare una regolamentazione, una tracciatura e validazione univoca dei mercati dei Carbon Credits.
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Blockchain, ancora un miraggio?
Permangono tuttavia le difficoltà per farne una metodologia di utilizzo comune: per la logistica l’interesse dovrebbe essere alto per via delle garanzie di tracciabilità end-to-end applicabili a qualsiasi processo al di là di quelli ambientali, ma la blockchain richiede una forte digitalizzazione dei processi, una mentalità predisposta ad accoglierla e la disponibilità a modificare prassi tradizionali, magari inefficienti, ma consolidate.
Insomma, occorre bucare la ‘bolla di comfort’ nella quale spesso si giace.
Le aziende logistiche devono investire in alfabetizzazione digitale e infrastrutture materiali ed immateriali (si pensi all’Internet Of Things), nonché in formazione di nuove figure professionali.
L’impatto sulla Supply Chain sarebbe però significativo, sia per l’interesse del singolo, sia per l’intera comunità.