Calano i tempi di consegna intercontinentali: è un buon segnale?

Condividi
Tempi di consegna giù del 23% da aprile, ma dietro si nasconde il ristagno delle scorte

Nella totale confusione cui il periodo storico dovrebbe averci abituato, prendere una notizia ‘con le pinze’ fa parte della prassi quotidiana: dunque, scoprire che i tempi di attesa tra l’immissione di un ordine e la sua spedizione via container sono calati del 23% da aprile ad oggi deve lasciare margine per una reazione razionale e lucida.

Se, infatti, tutti vorremmo saltare sulla sedia sapendo che il ‘collo di bottiglia’ finalmente cede il passo, la realtà è più complessa e stratificata di come la si possa intuire partendo da una sola informazione.

La diminuzione dei tempi di attesa c’è, ma con essa anche quella dei volumi importati e questo fa capo ad un cambio di strategia da parte sia di aziende che di spedizionieri di merci containerizzate, dietro alle cui decisioni si cela una per nulla facile gestione delle scorte.

Leggi anche:
Riadattare la Supply Chain nell’era della scarsità: la lezione di Kraljic

 

Uno scenario di incertezza

Il punto di partenza è sempre lo stesso: ciò che si osserva sul momento non fotografa lo stato attuale di salute dell’economia, bensì un momento già trascorso. Potremmo paragonare i dati macroeconomici che leggiamo oggi alla luce di una stella molto lontana, che giunge a noi quando la sua fonte potrebbe addirittura già essersi estinta.

Nel caso dell’economia mondiale abbiamo a che fare con dati su disoccupazione, inflazione e vendite al dettaglio non ottimali, ma nemmeno pessimi come ci si sarebbe aspettati qualche mese addietro: il problema è che i dati, più macroeconomici sono e più lenti sono nel loro giungere agli osservatori, descrivendo sempre con un certo ritardo l’andamento delle cose.

Data la fase di costante transizione verso uno scenario non chiaro, chi si occupa di ordini e di scorte ha un enorme problema con il quale scontrarsi, vale a dire l’inaffidabilità degli strumenti predittivi, minati dal susseguirsi dei cosiddetti ‘cigni neri’, ossia quegli eventi del tutto o quasi imprevedibili o, comunque, dalle conseguenze non riconducibili all’esperienza.

 

Leggi anche:
Shipping, la guerra in Ucraina pesa sui costi

 

Cosa succede agli ordini

In questo scenario gli ordini non possono non risentirne e, a catena, tutto il sistema dello shipping. Ciò che le aziende stanno facendo è cercare di dimensionare le proprie azioni riducendo il margine di incertezza; concretamente questo avviene riducendo gli ordini sulla base della domanda a breve termine, in quanto nemmeno sul medio termine si riescono ad avere delle previsioni affidabili.

La ripercussione sulla catena di approvvigionamento si traduce in una riduzione dei volumi di merci containerizzati spedite verso i porti delle coste USA ed europee; la tendenza è inoltre rafforzata dalla reazione degli spedizionieri, che di conseguenza riducono i volumi spediti.

Si potrebbe dire che le aziende stiano, in questa fase, propendendo per effettuare ordini più piccoli, più di frequente.

Leggi anche:
Le contromisure dello shipping alla congestione dei porti

 

Il legame scorte e TEU spediti

Il monitoraggio degli indici di TEU importati verso le coste occidentali rileva subito quanto i dati ‘macro’ ancora non leggono: dalla fine di aprile i tempi di consegna sono calati del 23%, ma inconseguenza allo snellimento generale delle importazioni.

L’Inbound Ocean TEUs Index, riportato da FreightWaves, fotografa un calo del 30% di TEU nell’ultimo mese che va di pari passo con il calo delle polizze di carico, rilevate dall’Inbound Ocean Shipment Index. I due dati dicono che le aziende ordinano meno merci e con un volume inferiore per singolo ordine.

Oltre all’imprevedibilità della domanda, tale comportamento è diretta conseguenza di due fattori: le scorte accumulate e il timore di una caduta dei consumi.

Leggi anche:
La digitalizzazone può evitare le future interruzioni della Supply Chain

 

La paura dell’inflazione

Per quanto riguarda le scorte, in questi giorni stanno tenendo banco le notizie relative agli eccessi di inventario di grandi gruppi come Amazon, Target e Walmart, ma il problema è generalizzato. 

Quando, tra inizio anno e primavera, nuovi lockdown e guerra hanno accelerato la corsa cieca, senza comunicazione tra gli anelli della catena, agli approvvigionamenti, le aziende si sono riempite i magazzini di merci che ora non incontrano più la domanda.

La supply chain si è – ancora una volta – fatta ingannare da picchi della domanda che si sono poi sgonfiati nel giro di poco tempo, non costituendo un trend consolidato. È un po’ come se le aziende avessero rincorso i capricci di un bambino viziato, dalle voglie effimere, motivo per cui la reazione attuale è contraria: comprare ciò che si è sicuri di vendere, poco per volta ma più spesso.

Quindi l’accumulo di scorte è il primo fattore; il secondo è la paura fondata che l’ondata di recessione che si sta abbattendo sulle economie occidentali paralizzi i consumi.

Tutti danno per scontato che crolleranno, ma nessuno sa dire esattamente quando: ecco dunque che la supply chain, la spedizione di merci containerizzato in particolare, sta rallentando, sperando di ‘bruciare’ le scorte già in casa e di poter seguire a giro più stretto l’andamento futuro della domanda.

Ti potrebbero interessare