La lotta dei resi: la prossima sfida del Retail

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Innovare le politiche di reso è al centro dell’attenzione per chi si occupa di Retail e può far guadagnare, non solo in immagine

Dietro ad un reso, inutile negarlo, c’è sempre un problema. Che si tratti di un’incomprensione tra acquirente e venditore, di un errore nella spedizione o di malafede del cliente, il reso innesca un processo che, comunque lo si veda, rappresenta un costo.

Per le aziende offrire un buon servizio in merito ai resi è questione di correttezza e di immagine, ma spesso si trasforma in un’arma a doppio taglio; i clienti hanno ragione a lamentare pratiche troppo macchinose per la restituzione di un acquisto errato, ma esiste anche chi approfitta della possibilità di effettuare i resi.

A partire dall’esplosione dell’eCommerce avuta negli ultimi due anni le aziende del settore retail hanno iniziato a porre la questione dei resi come sempre più centrale nelle loro strategie e risulta chiara una cosa: il concetto stesso di reso va snellito nella prassi ma anche innovato, con un’offerta di opzioni maggiore che in passato.

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Il cliente ha sempre ragione (o quasi)

Uno dei principali problemi di chi si trova a gestire i resi è offrire un servizio semplice ed efficiente: non c’è nulla di più dannoso, infatti, che rendere un inferno la vita a chi si trova per le mani un prodotto che non lo soddisfa.

È però anche noto il fenomeno inverso, ossia l’approfittare dei meccanismi di reso da parte degli utenti in modo non del tutto cristallino: una ricerca eseguita sul mercato nordamericano degli acquisti online ha rivelato che ben 3 consumatori su 5 è conscio di piegare a proprio favore le opzioni di reso disponibili. 

Come? Ad esempio acquistando prodotti per utilizzarli una sola volta e quindi renderli immediatamente te per l’intero valore: una pratica, questa, molto riscontrata nel fashion, tanto da meritarsi la definizione di ‘wardrobing’.

 

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Resi convenienti e feedback corretti 

Questa sorta di braccio di ferro tra aziende e clienti porta ad una serie di problemi collaterali: il primo fra tutti è che il reso, che di fatto rappresenta una forma di feedback sull’operato aziendale e sulla qualità dei prodotti, è spesso falsato da forzature come il wardrobing.

D’altro canto le stesse aziende distributrici hanno il must di offrire dei resi effettivamente convenienti per entrambe le parti, lai loro e quella dei consumatori.

 

L’evoluzione del reso

Il reso per come l’abbiamo conosciuto in questi anni probabilmente tenderà a scomparire in favore di nuove practices: sulla tematica del reso si è svolto una conferenza, The Lead Innovation Summit di Brooklyn (NY), che ha fornito proprio una fotografia di quanto bolle in pentola.

Le tendenze esposte a Brooklyn anticipano quanto il mercato dell’eCommerce e non solo si prepara ad offrire e, come sempre, sarà poi il mercato stesso a stabilire quali di esse sopravviveranno sul lungo termine.

Intanto è curioso notare il livello di innovazione, molto alto, cui le dinamiche di reso sono sottoposte.

 

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La semplificazione, solo l’inizio

La prima azione che viene proposta è generalmente la semplificazione del processo lato cliente: meno click sono possibili, meglio è.

Si tratta però solo deprimo passo: il brand Happy Returns, ad esempio, si concentra sull’aspetto della restituzione fisica del prodotto, proponendo una dinamica nuova: non il reso presso il punto vendita fisico nel quale si è acquistato il prodotto, bensì presso una rete di ‘Return Bars’, entro le quali si possono depositare prodotti di marchi e negozi diversi, che sarà poi il servizio di restituzione a ridistribuire indietro.

Con l’aggregazione di una massa critica di resi per gli stessi venditori si punta a ridurre anche i costi.

 

Ricircolo dei resi

La vera innovazione del concetto di reso è però in elaborazione con progetti come quelli di Greenlist. Il vero nodo cruciale, ossia quello dei costi, viene qui limato considerando anche l’aspetto ambientale: la maggior parte dei prodotti resi finisce infatti per essere conferito in discarica, il che sta divenendo intollerabile sia per questioni di sostenibilità economica che ambientale.

L’azione portata avanti da Greenlist prevede dei veri e proprio resi ‘peer-to-peer’, vale a dire un ritorno senza intermediazione che transita da cliente a cliente. Si tratta di una forma innovativa che azzera quasi i costi per l’azienda e garantisce un reimpiego della merce resa, sebbene per entrare a regime necessita di una massa critica di ‘re-users’ disponibili.

 

Eliminare il reso

Non tanto inteso come soppressione di un servizio che è fondamentale, quanto riduzione dei motivi che portano il cliente a restituire un prodotto.

Sono diverse le società – presenta a Brooklyn era Newmine – che offrono analisi multipiattaforma dei processi di vendita online al fine di identificare attraverso l’incrocio di dati i veri motivi che stanno dietro ad un reso.

Il più delle volte, secondo Newmine, si tratta di ragioni sulla quali il venditore ha un qualche margine d’azione, come la presentazione del prodotto stesso o la spedizione di merce non corrispondente agli ordini.

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