Food & Grocery, come cambia il rapporto con la logistica

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Ritardi e rincari del trasporto su gomma spingono lei aziende a sondare strategie differenti

Mitigare l’impatto delle forze in gioco sui mercati, siano essi quello della distribuzione, quello dei trasporti o quello della produzione, sta diventando l’obiettivo primario di molte aziende e, in particolare, del settore Food & Grocery.

Soprattutto chi si occupa di alimenti freschi non può convivere a lungo con un andamento a singhiozzo della distribuzione, pena il deperimento stesso della merce e la perdita dei contratti di fornitura, con un effetto domino su tutta la filiera alimentare, sino al consumatore finale.

Il problema è molto attuale oltreoceano, dove i trasporti su gomma stanno vivendo una crisi impressionante a base di porti congestionati, tempistiche imprevedibili e prezzi impazziti: in Europa la situazione più simile si trova in Gran Bretagna, che paga gli effetti combinati di Covid e Brexit, ma il minimo scossone sulla catena di approvvigionamento può farci precipitare in una dinamica parallela.

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Food USA: i prezzi di TL ed LTL

Gli Americani stanno sperimentando gli effetti collaterali di quell’andamento a singhiozzo delle importazioni verso i principali porti statunitensi: il principale effetto è l’aumento dei prezzi della trasporto su gomma, la cui disponibilità è rarefatta per via delle tempistiche dilatate di attesa per il carico-scarico delle merci negli interporti.

Oltre a costare di più, l’autotrasporto si sta mostrando facile vittima di oscillazioni temporali, vale a dire che non è in grado di garantire la puntualità delle consegne.

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Visibilità del TruckLoad: un problema diffuso

Quello che si pensa essere un problema nostrano, ossia la scarsa visibilità delle merci in viaggio, è in realtà comune anche agli Stati Uniti, nei quali un tessuti di tante piccole e medie imprese di trasporti non hanno flotte dotate di precisa segnalazione in tempo reale della propria posizione.

Questo fa sì che ai ritardi si sommi il vuoto di informazioni relative allo stato di avanzamento della consegna, provocando una sostanziale impossibilità da parte dei distributori di gestire l’eventuale disguido.

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Come aggirare il problema per i ‘freschi’

I problemi più grandi deve affrontarli la filiera dei ‘freschi’, ossia di quegli alimenti come frutta, verdura, carne e pesce che devono raggiungere il mercato entro poche dalla raccolta o prima lavorazione.

Nello spazio intra-continentale non esistono molte alternative al trasporto su gomma, per non dire nessuna in grado di assorbire i volumi di merce in transito: dunque le aziende americane stanno mettendo in atto diverse strategie per svincolarsi dal problema, fornendo degli spunti validi anche per il mercato europeo.

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La triade vincente: la porta di servizio, fare da sé e avere i dati

Le esperienze che rimbalzano sino a noi mettono in luce tre principali tematiche sulle quali lavorare per mitigare l’impatto delle forze geopolitiche ed economiche che stanno mettendo la Supply Chain USA – ed europea – in una situazione di stress permanente.

La prima potremmo definirla ‘la porta di servizio’: si tratta infatti di elaborare dei tragitti alternativi per le merci. D’altronde il proverbio insegna che ‘errare è umano, perseverare è diabolico’; perché dunque insistere su una strada se è fallimentare?

In secondo luogo troviamo una scelta di lungo termine, come attrezzarsi per una logistica in proprio, e, the last but not the least, optare per un efficiente tracciamento in tempo reale delle merci ed una condivisione dei dati con i clienti per ovviare ad eventuali disguidi.

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Cercare vie alternative

Negli USA la congestione della catena di distribuzione ha principalmente origine dalla paralisi dei porti delle baie della California del Sud e di New York, ossia dei cuori nevralgici della West Coast, per altro oggetto anche di proteste degli addetti sia alla movimentazione dei container che dell’autotrasporto stesso.

Ecco dunque che una parte della filiera del food, specie quella che dipende dall’importazione di carni dalla Nuova Zelanda (come la pregiata varietà Angus) o di frutta dall’America Latina, sta spostando i propri traffici su rotte meno trafficate, con approdi in porti sino ad oggi considerati ‘minori’.

Una simile strategia è in adozione anche da parte di alcuni grossi operatori logistici, che per allentare la pressione su Long Beach e Los Angeles hanno iniziato a frammentare le movimentazioni su scali secondari.

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Fai-da-te: logistica in-house

Altro punto che si sta rivelando importante è sviluppare almeno una sezione dei servizi logistici dei quali non si può fare a meno in casa. Evitare di dipendere da terzi, per quanto rappresenti una scelta costosa nell’immediato, potrebbe essere sempre più fondamentale e contribuisce a fare la differenza.

Mentre per altri settori industriali si tratta di una scelta relativamente comune, anche se desueta (vedasi il caso di Tesla Motors riguardo alla programmazione dei semiconduttori), per il food & grocery di piccolo cabotaggio è una novità.

Le grandi cooperative agricole o di vendita su scala nazionale dispongono da decenni di una rodata distribuzione in proprio, ma l’esigenza adesso si fa sentire anche per i piccoli produttori.

Inutile dire che ciò comporta degli investimenti non da poco in veicoli refrigerati, spazio per lo stoccaggio di merci e mezzi, nonché in termini di personale, ma si tratta di una scelta premiante sul lungo termine.

 

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Filo diretto produttore-consumatore

Più che mai è infine importante tracciare la merce: una delle chiavi della gestione di un problema è la comunicazione.

Sapere dove si trova esattamente il prodotto e quale sia il suo effettivo ritardo sulla tabella di marcia prevista rende possibile attuare delle alternative e, come minimo, essere trasparenti con il cliente, facilitando una risoluzione non conflittuale del disagio che gli viene arrecato.

Tramite la disponibilità di dati è infatti auspicabile impostare una collaborazione costruttiva ed una relazione tra fornitore e cliente durevole e basata sulla fiducia reciproca. 

 

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