Siamo di fronte ad una nuova era delle materie prime?
L’industria tecnologica moderna richiede una vasta gamma di materie prime, tra cui litio, nickel, rame, cobalto, manganese e grafite, tutti materiali che sono essenziali per la produzione di batterie, dispositivi elettronici e applicazioni tecnologiche ‘verdi’.
Si tratta quindi di materie definibili ‘critiche’ una per l’altra, anche perché la loro distribuzione nel mondo è altamente concentrata, fattore che sta generando nuove dinamiche geopolitiche che, a loro volta, influenzano profondamente la logistica globale.
La ‘nuova industria’ che si sta imponendo, richiederà sempre meno combustibili fossili: in compenso, la domanda delle materie prime elencate in apertura si prevede che quadruplichi entro il 2040.
La distribuzione globale delle risorse
È un fatto che la transizione verso tecnologie verdi e verso l’elettrificazione dei trasporti stia aumentando la domanda di metalli come litio, nickel, rame, cobalto, manganese e grafite.
Naturalmente la questione sul tavolo internazionale è la concentrazione delle risorse, in quanto, come visto per decenni con il petrolio, pochi Paesi detengono la maggior parte delle riserve di queste nuove materie prime pregiate.
Inevitabilmente si sta creando una forte dipendenza a livello globale, basti pensare che i tre principali Paesi produttori di ciascun metallo detengono oltre il 60% delle riserve globali.
Qui si innesta anche una lettura geopolitica legata alla distribuzione di queste risorse: i maggiori detentori dei metalli richiesti si trovano in Africa e America Latina, con l’unica eccezione rappresentata dall’Australia. Sempre Sydney è l’unica che non tende ad allinearsi politicamente con il blocco mondiale dominato da Pechino: le nazioni africane o latinoamericane sono decisamente nell’orbita BRICS e, in alcuni Paesi, la Cina è corsa già da anni a far man bassa di zone estrattive e infrastrutture.
Il rischio dei cartelli dominanti
Una simile concentrazione di tante risorse in pochi paesi fa venire il legittimo timore che possa costituire la base per la formazione di cartelli dominanti, simili a quanto fatto dall’OPEC per il petrolio.
Questi cartelli potrebbero controllare i prezzi e l’offerta di materie prime critiche, creando ad arte volatilità e incertezza nei mercati globali: la stessa BCE, assieme al Fondo Monetario Internazionale, ha espresso preoccupazioni riguardo alla disponibilità e al prezzo di questi metalli, sottolineando la necessità di strategie per mitigare i rischi.
L’impatto economico di un tale disequilibrio per l’Europa potrebbe costare caro: innanzitutto sarebbe esposta alla volatilità dei prezzi, figlia della concentrazione delle risorse in mano a pochi, a quel punto in grado di influenzare i costi di produzione e, di conseguenza, i prezzi dei prodotti finiti.
In secondo luogo, la dipendenza da pochi fornitori di metalli critici può, ancora una volta, rendere le catene di approvvigionamento dei giganti dai piedi di argilla, vulnerabili ai cambiamenti geopolitici.
Rispetto al petrolio, i metalli saranno cruciali per l’industria, ma caratterizzati da maggiore volatilità e saranno più costosi: per cercare di avere forniture a ben prezzo, molte nazioni contribuiranno ad alimentare una frammentazione geopolitica alimentata da due blocchi contrapposti, Paesi filo-Pechino da una parte e Occidente dall’altra.
Tuttavia si potrebbero generare anche molte ambiguità dovute alla sola convenienza strategica: si pensi, ad esempio, cosa potrebbe voler dire essere tagliati fuori da un canale primario di approvvigionamento come la Belt and Road Initiative cinese, qualora avere un certo materiale fosse vitale per l’economia di una nazione occidentale.
È anche chiaro che, come è accaduto in tempi recenti con il gas russo, la disponibilità di materie prime può essere sfruttata come leva in sede di contrattazioni internazionali da Paesi storicamente in posizione di debolezza.
Anche il cambio di allineamento geopolitico da parte di un grande produttore potrebbe causare aumenti significativi dei prezzi per coloro che si trovano nel blocco opposto, mentre per le aziende diventa naturale cercare di stabilire partnership con produttori in Paesi politicamente stabili per garantirsi un approvvigionamento continuo.
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L’Occidente e l’approvvigionamento sostenibile
L’Occidente avrebbe già dovuto adottare diverse strategie per garantirsi un approvvigionamento sostenibile di materie prime critiche come i metalli necessari alle industrie hi-tech. Si tratta di avere linee guida per la sostenibilità nella catena di fornitura, di selezionare fornitori che rispettino standard ambientali e sociali elevati, e di investire in tecnologie avanzate per migliorare l’efficienza e ridurre gli sprechi. Soprattutto, sarebbe essenziale diversificare le fonti di approvvigionamento e stabilire partnership strategiche con nazioni politicamente stabili.
Anche perché viviamo in uno scenario ormai intessuto di tensioni geopolitiche e la concentrazione di queste risorse in determinate aree del mondo sta già cambiando le rotte della logistica globale. Le aziende devono ormai vivere nell’ottica di riorganizzare le loro rotte commerciali per evitare aree instabili o sanzionate, andando incontro a repentini aumenti dei costi di trasporto e dei tempi di consegna, un po’ come sta accadendo con il Mar Rosso.
Anche materie una volta ‘economiche’ oggi si posizionano in modo differente: rispetto al 1990 i prezzi della fluorite – minerale con svariati impieghi dai pigmenti, alla produzione di lenti, alla siderurgia – sono quadruplicati, mentre il cobalto (storicamente estratto anche in Piemonte) è noto per avere un notevole prezzo per tonnellata e per essere soggetto a fortissime fluttuazioni, soprattutto dopo che la sua richiesta è schizzata per produrre componenti per auto elettriche.
Proprio sulla spinta dell’andamento dei prezzi di mercato sta avvenendo una rivalutazione dei depositi conosciuti e, a volte, dismessi, anche alla luce delle nuove tecniche di esplorazione: a livello europeo è stato promosso il Critical Raw Materials Act UE, un Regolamento che punta a riavviare la produzione e il riciclo delle materie prime critiche con l’obiettivo (ambizioso) di rendere l’Europa indipendente dalle importazioni.
La situazione dei giacimenti in Italia
Da questo punto di vista, il nostro Paese potrebbe ancora avere qualcosa da dire, sebbene possa sembrare anacronistico parlare di miniere.
In Italia, le uniche materie prime critiche attualmente estratte sono il feldspato e proprio la fluorite.
Anche sul suolo nazionale i principali giacimenti di queste materie prime sono concentrati in poche aree: ad esempio, il litio è abbondante nei fluidi geotermici che si reperiscono in Toscana, Lazio e Campania.
Si trova invece del rame nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, in Trentino, in Carnia e in Sardegna, mentre il cobalto è presente in Sardegna e, come anticipato, in Piemonte. Quest’ultimo ospita il deposito di Punta Corna, considerato di importanza strategica a livello europeo.
Certo, per tutte le altre risorse richieste oggi dall’industria si rischia di mettersi in una condizione di forte dipendenza dai Paesi esportatori, ipotecando, come si diceva, le relazioni internazionali e la stabilità economica globale per salvare la propria.
Tuttavia, l’Italia avrebbe delle cartucce ancora da ‘sparare’: ci sono infatti potenzialità significative per aumentare l’estrazione di litio, rame e cobalto, ma anche manganese, tungsteno e magnesite. Le nuove tecniche di esplorazione e l’andamento dei prezzi di mercato potrebbero rendere redditizi molti dei depositi conosciuti e, nei decenni scorsi, accantonati.
Tuttavia, l’industria mineraria italiana ha un altro problema, a monte: il primo è la mancanza di risorse umane qualificate, che va di pari passo con la necessità di ricostruire il know-how minerario, che parte dall’alta formazione universitaria.