Traffico container e trasporti, indici di una recessione globale

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Negli ultimi sei mesi tutti gli indizi portavano ad una sola conclusione: i mercati rallentano, la recessione avanza. Anche laddove i governi negano ad oltranza

La logistica ha un punto di osservazione privilegiato sul mondo e, in particolare, sui suoi meccanismi produttivi ed economici. L’insieme di servizi che compongono la catena di approvvigionamento sono la cartina di tornasole della produzione industriale e, in ultima analisi, dello stato di salute della domanda e dell’offerta.

La recessione attuale, condizione che vede colpire in pieno tutto l’Occidente, non dovrebbe pertanto essere una grande sorpresa: seppur sparigliati dagli strascichi dei disservizi figli delle congestioni pandemiche che si ripercuotono da un continente all’altro, i dati a disposizione sulla movimentazione di merci parlano chiaro da mesi.

Purtroppo, la lingua utilizzata è quella di un rallentamento dei mercati, ma, udite udite, non sono solo UE e USA a non passarsela benissimo: la recessione in atto ha tratti di globalità che non risparmiano la massima produttrice mondiale, la Cina.

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Container rivelatori

Chi analizza le rotte dei container è almeno da giugno che rileva segnali eloquenti, chiaro specchio della domanda occidentale nei confronti dei beni di consumo provenienti dall’Asia (ricordiamoci che molto spesso lo sono del tutto o in parte anche quando non lo sappiamo): circa il 75% dei container che solcano i mari dall’Asia all’Europa o verso gli Stati Uniti dipendono dalle importazioni di beni di consumo, dunque rappresentano un buon indice.

Le prime avvisaglie di una frenata nella domanda si sono registrate globalmente a marzo 2022: una nazione che affida quasi del tutto la sua distribuzione interna al trasporto su gomma, come gli USA, ha visto un primo calo dell’occupazione dei rimorchi quasi sei mesi fa.

Questa inversione di tendenza, avvenuta anche in Europa, rivelava un approccio più conservativo della Supply Chain, indotto dai suoi vari anelli a contatto con i consumatori: sono state ordinate scorte coerenti con la previsione di un calo della domanda e, contemporaneamente, molte produzioni hanno subito rallentamenti notevoli per lo scarseggiare di materie prime e prodotti derivati (vedi i semiconduttori).

A giugno i container spediti dalla Cina sono ulteriormente diminuiti, con un calo del 36% in meno di un mese verso gli Stati Uniti, secondo i dati raccolti dal Sonar Atlas Container di FreightWaves, che tiene conto delle prenotazioni in stiva nel punto di partenza.

Un chiaro segnale che la Cina stava esportando meno, duplice indizio perché dipendente sia dalla produzione che dalla domanda – lockdown e politica ‘zero Covid’ permettendo.

 

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L’onda lunga degli effetti

Gli effetti di questa tendenza iniziata la scorsa primavera si stanno palesando solo adesso, il che ha intorbidito un po’ le acque. Il momento storico non aiuta, con la sovrapposizione di moltissimi fenomeni geopolitici, tutti con ricadute sulla salute dei mercati e della logistica che ne dipende.

Nel caso dell’interpretazione delle importazioni di container si sono messi di traverso i colpi di coda dei fermi portuali in Cina, determinati anche un po’ artificiosamente dall’intransigente approccio alla pandemia voluto da Xi Jin Ping, e le congestioni accumulate dalle dogane e dalle infrastrutture portuali occidentali.

Tutte queste concause hanno portato i container e, dunque, le disponibilità di merci ad accumulare ulteriore ritardo: nel frattempo, l’atteggiamento del mercato è divenuto ancor più conservativo, con l’innescarsi di un’altra carenza ‘artificiale’, come la definisce il giornalista Federico Rampini sul Corriere della Sera, ossia quella della domanda.

I consumatori, ma anche le stesse aziende, iniziano a contrarre i propri esborsi perché pressati negativamente dall’inflazione e dagli aumenti che riguardano energia e gas, i quali a loro volta si innestano in uno scenario di scarsità di materie prime e prodotti finiti, provocando un circolo vizioso al ribasso.

 

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Dietro il calo dei noli

Altro elemento che fornisce informazioni da interpretare inserendole nello scacchiere globale è il repentino precipitare dei noli marittimi. Da giugno ad oggi le tariffe spot dei container spediti dalla Cina alla West Coast degli USA sono passate da 9.600 dollari a 3.800 dollari, riflettendo un chiaro rallentamento della domanda, considerato anche che quella attuale sarebbe l’alta stagione per i container.

Dietro al calo dei prezzi non c’è solo il decongestionarsi della catena logistica, che ha finito di assorbire i blocchi cinesi della scorsa primavera, ma anche uno strutturale crollo delle richieste di beni.

Sempre osservando la tratta Cina-USA, le spedizioni sono scese ulteriormente di un terzo a partire dal primo di settembre 2022, segnale che i mercati globali del trasporto merci si stanno indebolendo.

Questo è anche figlio di un diverso comportamento delle società logistiche e dell’industria tutta, che per la prima volta dopo decenni privilegia scelte votate alla resilienza piuttosto che al solo taglio dei costi.

 

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Attenzione alla Cina

La recessione, in parte, è anche una misura indotta dai governi per contrastare l’inflazione. In Europa non ne è fatto mistero, ma Pechino sull’andamento reale della propria economia non è mai stata campionessa di trasparenza.

Esiste tuttavia una fonte, nota come Beige Book, che diffonde dati economici sulla Cina senza passare attraverso la censura di Stato: l’avviso diramato in questi mesi è di un sostanziale e forte rallentamento anche della locomotiva cinese, in misura ben maggiore rispetto a quanto ammesso dal governo.

Che l’economia cinese non se la passi alla grande è risaputo, ma il crollo del suo PIL potrebbe essere sottostimato; peggio, la stessa Pechino potrebbe indurre una contrazione delle sue produzioni per tenere sotto controllo l’economia interna.

Si sa, quando una farfalla sbatte le ali in Cina, prima o poi le conseguenze fanno il giro del mondo.

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